Poco spazio, poca erba e magari, se sono da soli, anche poca socialità. Per animali da branco come i cavalli la socialità è d’importanza fondamentale e questo non è un dettaglio trascurabile. E allora penso…
Ma questo cavallo è stato privato di tutto? Come se fosse in prigione, senza aver fatto nulla. Come trascorresse la sua vita in lockdown. Come se le regole per la sua quotidianità e il suo benessere, fossero dettate solo dalla comodità degli uomini che dovrebbero prendersene cura. Ma quanto sono bravi questi animali così grandi e maestosi a non lamentarsi mai apertamente di tutte le privazioni a cui vanno incontro? Eppure non sono animali esigenti, hanno bisogno di poco, ma privarli di quel poco è estremamente ingiusto. Loro non manifestano apertamente il disagio, aspettano e intanto somatizzano.

Si, la coerenza questa sconosciuta. Perché non si può dire di amare il proprio cavallo per poi privarlo di quelle emozioni che lo renderebbero felice o semplicemente “cavallo”.
Negli anni ne ho sentite di ogni genere e tutte le volte la mia risposta è sempre stata una sola: un cavallo è un cavallo, un animale pascolatore che in natura si muove costantemente in ampie praterie. E allora quando un cavallo si fa male, per molti il problema non è sapere che per lui sentirsi poco bene può essere psicologicamente e fisicamente debilitante, ma il non poterlo montare per il periodo che gli serve a guarire, tanto o poco che sia. Come se montarlo fosse la questione prioritaria, anche per chi non fa il cavaliere di professione.
Ho sempre visto i cavalli come compagni di vita, ho imparato molto da loro, in sella ma soprattutto a terra.
Pazienza e resilienza.

La pazienza che hanno di sottostare a regole che non gli appartengono e il saper aspettare che arrivi un tempo in cui la vita possa diventare un po’ più bella. Tempo che per molti cavalli non arriverà mai, perché quel tempo fuori dai circuiti sportivi lo trascorreranno in quel giardinetto senza erba, in cui non riescono a fare una sola falcata di galoppo, nell’attesa che arrivi la morte, magari nella totale indifferenza di chi li ha sfruttati finché ha potuto.
Luce, movimento, cibo e socialità rimangono dei diritti imprescindibili per i cavalli, che spesso si scontrano con l’incoerenza di chi dice di amarli.
Occuparsi di un animale, di qualsiasi animale si tratti, è un impegno che ciascuno di noi si prende. Tener testa a quell’impegno ci fa sentire bene.

La coerenza è alla base della logica, della razionalità, della stabilità e dell’onestà. Un alto grado di coerenza è associato di regola a solidità personale e intellettuale di una persona.
L’incoerenza normalmente è, infatti, considerata un tratto negativo della personalità. Per questa ragione si tende a non porsi il problema, vedere sarebbe troppo doloroso o, addirittura, fastidioso. Così chi ne fa le spese sono sempre loro, i più deboli e dunque, in questo caso, i cavalli.
Non è il cavallo brado che deve muoversi continuamente sotto ogni tipo di tempo e temperatura per cercare cibo e acqua ad essere il più felice, di questo ne sono certa.
Infatti, in alcune zone del mondo i cavalli non si sono sviluppati e trovarne di liberi in natura è difficile.
Il loro rapporto con l’uomo è ormai imprescindibile, sono diventati i nostri compagni di vita e di lavoro, sfruttati da oltre cinquemila anni per agricoltura, guerre, spostamenti e ora quasi esclusivamente per sport e divertimento. Ma questo tempo di amicizia ricopre veramente uno spazio temporale minimo, rispetto agli oltre 50 milioni di anni che vedono i cavalli presenti su questa terra. Il mondo è nostro, ma loro ci sono da prima e il nostro dovere è garantire a tutti gli animali una vita con stimoli in grado di mantenerli sempre “vivi”. Senza stimoli si vive lo stesso, il fisico non muore, ma la mente si. Si sopravvive, non si vive. E allora, un cavallo che sopravvive, cosa avrà mai da trasferire di positivo a noi e all’ambiente che lo circonda? Poco, probabilmente nulla, ed è per questo che molte volte le associazioni sono chiamate in causa per recuperare cavalli, spesso anziani, dimenticati e quindi in condizioni così gravi da dover essere addirittura sequestrati dalle forze dell’ordine.
