La lunga e lenta camminata dei cavalli fino a noi

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L’evoluzione umana e quella degli animali che popolano questa terra mi hanno sempre affascinato, per questa ragione cerco di capirci di più su questi argomenti, che possono sembrare irrilevanti, ma che hanno un gran significato, perché aiutano a comprendere come è iniziata la nostra storia di “umani” e che ruolo hanno avuto e hanno oggi nella nostra vita gli animali con cui amiamo confrontarci quotidianamente, cavalli compresi.
La storia dell’uomo ha inizio in Africa ben oltre 2 milioni di anni fa, con il passaggio al bipedismo (camminare su 2 gambe in posizione eretta) delle scimmie antropomorfe, le scimmie più simili a noi, come gorilla e scimpanzé, e una graduale encefalizzazione, aumento delle dimensioni del cervello.
Ma torniamo indietro di qualche milione di anni, molto prima della comparsa dell’uomo…

I dinosauri hanno popolato questa terra per un tempo lunghissimo, che supera abbondantemente quello della nostra presenza come esseri umani, relativamente “recente”. L’invadente presenza dei dinosauri ha impedito lo sviluppo dei mammiferi, che c’erano anche a quei tempi ma erano ancora piccoli e in forme piuttosto arcaiche. Il vero sviluppo dei mammiferi è iniziato circa 65 milioni di anni fa, con l’estinzione dei dinosauri, che malgrado abbiano prepotentemente popolato 

65 milioni di anni fa i dinosauri si sono estinti lasciando spazio allo sviluppo dei mammiferi

la terra per milioni di anni, non sono scampati all’impatto di un enorme meteorite, che ha avuto notevoli ripercussioni sugli equilibri dell’ecosistema. Non è che il meteorite cadendo in Messico ha ucciso tutti i dinosauri della terra in un istante, ma ha creato per loro delle condizioni di vita insostenibili, accompagnandoli verso una delle più importanti estinzioni di massa della storia. Queste nuove condizioni sulla terra hanno progressivamente dato maggiore possibilità di sviluppo ai mammiferi compresi, appunto, le scimmie antropomorfe e i cavalli, protagonisti di questa mia riflessione. Parliamo di un tempo così lontano da far quasi fatica ad immaginarlo che ci ha portato gradatamente fino a qui, con menti umane che ci permettono di sviluppare pensieri molto complessi e con cavalli in grado di fare agonismo ad alti livelli.

Eohippus, l'antenato dei cavalli con le dita
Equus, il capostipite dei cavalli moderni

L’evoluzione degli equini è più antica della nostra ed è passata da un piccolo mammifero erbivoro con le dita, conosciuto come Eohippus, vissuto oltre 36 milioni di anni fa, all’ultimo antenato comune di tutti gli equidi moderni, il genere Equus, vissuto circa 4,5 milioni di anni fa in Nord America, che malgrado non avesse certamente tutte le caratteristiche dei cavalli che conosciamo oggi, era un animale di dimensioni maggiori e non più con le dita ma zoccoli.
Uomini e cavalli hanno sempre avuto un rapporto esclusivo, anche se inizialmente, per un tempo lunghissimo, gli uomini li hanno solamente cacciati per mangiare. Questa caccia così serrata con metodi arcaici è probabilmente responsabile dell’innata paura dei predatori che hanno anche i nostri cavalli moderni, malgrado ora per loro la vita sia molto cambiata. 

Ma quelli erano gli stessi cavalli che abbiamo noi oggi?
No, non lo erano, erano cavalli ancestrali, molto diversi dai cavalli con cui ci confrontiamo tutti i giorni. Ad oggi sulla terra conosciamo 2 specie di cavalli, quella moderna e i Przewalski, i cavalli antichi ripopolati in riserve della Mongolia, con cui ancora possiamo confrontarci, ma che geneticamente con i cavalli moderni hanno ben poco a che vedere. I Przewalski, infatti, hanno 33 coppie di cromosomi rispetto ai 32 del cavallo domestico, e un mantello caratteristico che ne accerta le antichissime origini, dato che risulta facilmente riconoscibile sulle pitture rupestri di diverse caverne degli uomini primitivi: venivano raffigurati completamente neri, striati e persino maculati.

Questi cavalli sono stati raffigurati molto più frequentemente rispetto ad altri animali normalmente cacciati a quell’epoca, ma una spiegazione a questa “predilezione” degli uomini primitivi per i cavalli ancora gli studiosi non hanno saputo darla, visto che a quei tempi non erano ancora stati addomesticati.
A parte questi antichi cavalli, importanti ricerche hanno trovato le prove della presenza nel passato di altri generi di equini estinti che avevano, anche loro, poco a che fare con il cavallo moderno.

Sulle pitture rupestri venivano spesso rappresentati i cavalli

In Siberia, ad esempio, alcuni studiosi hanno trovato recentemente un puledro di circa 2 mesi vissuto più o meno 40.000 anni fa, praticamente intatto, nel permafrost, lo strato di ghiaccio che ricopre quelle terre e che con il riscaldamento globale si sta lentamente ritirando, lasciando questi antichi reperti meravigliosamente conservati, tra cui altri animali estinti come i Mammut. 

Da questo puledro, che apparteneva alla specie estinta di Equus Lenensis, diffusa in quella regione nel tardo Pleistocene, è stato ricavato il DNA più antico e completo di un equino mai sequenziato prima. Questo puledro, per altro, non è stato l’unico cavallo rinvenuto nel permafrost, ma è sicuramente il più interessante; nel 2003 era già stato trovato un altro antenato fossile, ancora più antico, vissuto tra 560.000 e 780 mila anni fa, da cui i ricercatori dell’Università di Copenaghen avevano già ricavato delle sequenze di DNA.
Dal sequenziamento del DNA antico di questi antenati dei cavalli si può capire con molta più precisione l’influenza umana nella storia antica delle loro popolazioni.
L’evoluzione è una cosa lenta che richiede tempi “biblici” per mostrare delle reali diversità, ma quello che sappiamo oggi è tantissimo, molto di più di quello che si poteva sperare fino a qualche anno fa,  

Puledro di 40.000 anni fa rinvenuto nel permafrost

dato che si riesce a risalire alle origini delle specie, la nostra compresa, attraverso, appunto, la lettura del DNA antico. Questa è stata una delle scoperte più interessanti degli ultimi anni, che è valsa anche un premio Nobel per la medicina a Svante Pääbo, ricercatore svedese che trasferitosi in Germania da moltissimi anni ha decodificato assieme alla sua equipe il DNA sia mitocondriale che nucleare dell’uomo di Neanderthal, dandoci importanti risposte a dilemmi che interessavano questa specie, così vicina e allo stesso tempo lontana da noi Sapiens. 

Svante Pääbo, l'archeologo del DNA

L’equipe di Svante Pääbo ha ricavato il DNA antico anche di diversi animali preistorici permettendoci di dare importanti risposte sulla loro evoluzione. Il lavoro di questi ricercatori inizia addirittura negli anni ’80 ma, dopo anni di delusioni, la vera svolta l’avranno piuttosto recentemente, grazie allo sviluppo di macchinari più moderni, che hanno permesso di sequenziale anche brevi tratti di DNA antico. Il deterioramento dei fossili, causato dal tempo e dalle condizioni dell’ambiente in cui sono 

stati trovati, permette l’isolamento solamente di piccoli frammenti di DNA, che vanno poi riassemblati come fossero un complicatissimo puzzle. C’è stato un tempo in cui l’Eurasia era popolata da più specie del genere Homo, soprattutto Homo Neandentalensis in Europa e Denisova in Asia, mentre in Africa Homo Sapiens, la nostra specie, aveva iniziato la sua scalata verso il successo. Quando la scarsità di risorse, la presenza di popolazioni sempre più numerose e chissà probabilmente un certo spirito di avventura, hanno spinto i Sapiens ad uscire dall’Africa, c’è stata per molti millenni una convivenza con le altre specie e vari incroci con inevitabili rimescolamenti di materiale genetico, che noi europei e asiatici ancora ci portiamo dietro nel nostro DNA, sotto forma di piccolissime porzioni che rappresentano circa il 2% del totale.

Con la sempre maggiore predominanza sui nostri territori di uomini in grado di ingegnarsi per sopravvivere, ci sono state delle evoluzioni nelle tecniche di caccia e un graduale passaggio da semplici cacciatori/raccoglitori a quello di uomini in grado di produrre il cibo, allevando gli animali e imparando a coltivare la terra.
Questo ha comportato circa 5500 anni fa, dopo cani, bovini, maiali, capre e pecore, un inevitabile avvicinamento degli uomini

I cavalli venivano cacciati con metodi piuttosto arcaici

ai cavalli non solo per cacciarli, ma anche per il loro addomesticamento e allevamento, soprattutto in Asia.
A differenza degli altri animali i cavalli cominciavano a non essere considerati solo come fonte di carne, ma grazie alla loro velocità e resistenza hanno iniziato ad essere utilizzati per altri scopi. Possiamo oggi dire che l’addomesticamento dei cavalli ha realmente trasformato la storia dell’uomo, nei viaggi, nell’agricoltura, nel commercio e nelle guerre, che erano tanto di moda allora come oggi. Queste attività umane hanno influenzato direttamente o indirettamente l’evoluzione dei cavalli, causando nel tempo una drastica riduzione delle popolazioni di cavalli selvatici.

I cavalli persiani sesanidi da cui sembrano derivare i cavalli moderni

I cavalli di oggi mostrano una maggiore somiglianza con quelli persiani sasanidi, impero che nacque sull’altopiano iraniano intorno al 224 d.C. che fu una delle più terribili minacce per l’espansione territoriale dell’impero romano e per le sue strutture di potere. I sasanidi (224-624 d.C.) dominavano gran parte della Via della Seta, dettaglio che gli garantiva introiti immensi, ma per questo dovevano salvaguardare la sicurezza dei cammini e certamente avevano bisogno dei cavalli.
Questo dimostra che le guerre bizantino-sasanide e le prima conquiste islamiche, ebbero con molta probabilità un notevole impatto sull’allevamento dei cavalli.

Sembra che fu proprio grazie a loro che si rimodellò il panorama dei cavalli in Europa.
La continua selezione da parte dell’uomo, soprattutto negli ultimi 200 anni, ha ridotto drasticamente la variabilità genetica che caratterizzava le popolazioni di equidi di un tempo molto lontano. Durante l’addomesticamento, gli umani hanno spinto la selezione nel tentativo di favorire delle caratteristiche che interessavano a loro, ma che probabilmente non sono le stesse verso cui li avrebbe spinti una selezione completamente naturale. Questo ha portato i cavalli ad avere forza, capacità agonistiche e un indole più addomesticabile, facendogli gradatamente perdere molte delle caratteristiche che gli hanno permesso di sopravvivere in natura per milioni di anni. 

Quando li guardiamo e ci relazioniamo con loro, dovremmo aver ben chiaro quando tutto ha avuto inizio, quando è nato il nostro rapporto con loro e quando si è trasformato da una caccia senza pietà ad una storia di amicizia e/o di sfruttamento, a seconda di come la si voglia vedere.
Entrare nella testa di un cavallo può significare rendersi conto di cosa ha vissuto nella sua lunghissima storia, quali caratteristiche lo hanno portato fino a noi e come noi umani abbiamo “manipolato” la loro genetica per renderli più adatti ai nostri scopi.
Non dimentichiamoci mai però che, malgrado tutto, in 5 milioni di anni i cavalli non si sono mai estinti!

La nostra è una lunga storia di amicizia iniziata grazie ad una nostra necessità

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